Patrimonio Storico-Culturale

Tra tutte le città della provincia di Latina, Gaeta è il centro più rilevante per il suo complesso dei beni archeologici, architettonici ed artistici, che testimoniano ancor oggi – dopo assedi, distruzioni, manomissioni e furti – un passato di ricchezza e di evidente realismo culturale da parte dei poteri civile e religioso.

La configurazione topografica di Gaeta appare chiara notando la disposizione delle sue due sezioni: la più antica e di maggiore interesse artistico e monumentale è rappresentata da quella di S. Erasmo: l’altra è quella di Porto Salvo che, con la parte urbana più recente, formatasi dalla metà degli anni ’20 di questo secolo, occupa l’arco costiero fino a Conca e le aree di Montesecco, Serapo, Atratina, Catena, Cuostolo e Cappuccini nonchè gli altri spazi pianeggianti e collinari, a monte della via Flacca.

Iniziando a percorrere, attraverso il lungomare G. Caboto, il nucleo più antico della città si incontrano tre porte: la prima aperta nel complesso delle fortificazioni volute da Carlo III (1737); le altre due – disposte ad angolo retto rispetto al percorso stradale – rappresentavano l’accesso alla città-fortezza in seguito alle opere di difesa di Carlo V (1538).

Si giunge così alla chiesa della SS. Annunziata, la cui costruzione originaria data dal 1321. Il monumento gotico con navata unica suddivisa in quattro composta ad abside quadrata fu rinnovato con splendide decorazioni barocche del 1621. La facciata, opera di A. Lazzari, con orologio soprastante e campanile a vela dei primi del Settecento (altro campanile a vela è dalla parte dell’abside), ha avuto un radicale restauro nel 1988; altri importanti rifacimenti sono stati poi eseguiti nelle strutture del tetto e nell’interno della chiesa. Lungo il fianco sinistro si apre un portale gotico della prima costruzione.
Di particolare interesse artistico è, dietro la chiesa, la cappella dell’Immacolata o “Grotta d’oro” con volta a botte, costituita da cassettoni lignei intagliati e dorati (restauri negli anni 1955/56 e 1989).
In alcuni locali dell’Istituto dell’Annunziata è il Centro Storico Culturale “Gaeta” che conserva opere pittoriche dei secoli XV-XVIII nonchè reperti archeologici romani e medioevali; nonchè una biblioteca specializzata in storia patria e di storia dell’arte. Alle pareti sono i dipinti su tavola di G.F. Criscuolo e di alcuni suoi allievi (“Storie della vita di Gesù e di Maria”, 1531/35). Sull’altare, in posizione centrale, è la tela dell’Immacolata (circa 1582), opera di Scipione Pulzone, pittore gaetano (1550/98). I quattro quadri laterali (S. Rocco, S. Pietro, S. Paolo e S. Sebastiano) e quello nella lunetta (Adorazione dei Magi) sono, invece, del Criscuolo. Davanti all’Immacolata si sono raccolti in preghiera i pontefici Pio IX (1848/49) e Giovanni Paolo II (25 giugno 1989).

Proseguendo per il lungomare si giunge in piazza Caboto e poi in piazza Traniello ove è la Gran Guardia, edificio neoclassico con portico, opera di P. Paolo Ferrari (1786). Continuando per 

via Duomo si oltrepassa la chiesa di S. Maria della Sorresca (edificio a pianta ottagonale degli anni 1617/35, non visitabile perchè chiusa mentre i quadri sono presso l’Istituto della SS. Annunziata) per giungere al Palazzo De Vio, sede di una mostra permanente di opere artistiche dal 1976. Nelle sale vi sono affreschi, tavole e tele dall’XI al sec. XVIII, quasi tutti recuperati dalle chiese di Gaeta, abbandonate o chiuse al culto.

Il Duomo, alle falde del nucleo originario del quartiere medievale, fu costruito nel corso dei secoli X-XI, ma consacrato nel 1106 dal papa Pasquale II, sulla precedente chiesa di S. Maria del Parco (forse del sec. VII). Tra le tante opere d’arte conservate nel duomo occorre ricordare il notissimo Candelabro del cero pasquale con 48 rappresentazioni a basso rilievo della vita di Cristo e di S. Erasmo; è coronato da uno splendido capitello gotico (fine sec. XIII). Sull’altare maggiore, a destra, è il “Martirio di S. Erasmo” di C. Saraceni (1580/1620); artistico coro in noce del XVI secolo nel presbiterio. Ancora tele di S. Conca (“Sacra famiglia e santi”, “Madonna con il Bambino e S. Filippo Neri”) e di L. Stanziani (“Madonna con il Bambino e S. Giovannino” del 1859), ecc. La seicentesca cripta o succorpo, ad una navata, è rivestita di stucchi, rilievi e tarsie marmoree policrome; conserva i corpi dei Santi Erasmo, Marciano, Probo, Innocenzo, Casto, Secondino, Albina ed Euporia. Sull’altare è una tela (“Martirio di S. Erasmo”, 1669) di G. Brandi al quale si debbono anche gli affreschi della volta (1662/64, ma in parte rovinati dalla bomba del 1943). Il cancello in bronzo (1692) è simile all’altro della cappella di S. Gennaro nel duomo di Napoli.
Il campanile (57 m.) del duomo ha il basamento composto da innumerevoli blocchi provenienti da monumenti romani (particolarmente dal mausoleo di L.S. Atratino), come anche le colonne ed i sarcofaghi ai lati della scalinata d’ingresso.

Dal campanile si raggiunge il piccolo porto S. Maria, attraverso la porta Dominica (resti delle mura di Docibile I), per visitare la chiesa di S. Giovanni a mare, caratteristica costruzione del periodo tra la fine del XI e l’inizio del sec. XII: rappresenta un incontro tra lo schema della chiesa bizantina a pianta centrale e la basilica latina. E’ suddivisa in tre navate da otto colonne di monumenti romani; uno splendido arco acuto è nell’abside mentre le navate laterali hanno le volte a crociera. Sul quadrato centrale si eleva la cupola di forma sferica, poggiante su quattro archi acuti. Alle pareti sono resti di affreschi dei primi anni del Trecento, attribuiti alla scuola del Cavallini. La chiesa è stata ampiamente restaurata nel 1928 sotto la direzione di G. Chierici, togliendo le sovrastrutture barocche. Nuovi restauri si sono avuti non molti anni fa (chiusa al culto).

Tra il duomo e la punta Stendardo si dispone – salendo le pendici del promontorio – il caratteristico quartiere medievale, un piccolo complesso di arte che rappresentò il centro politico

 e religioso del periodo ducale (secoli IX-XII). Vicoli tortuosi, costruzioni dei secoli XII-XIII e seguenti, angiporti, torri, scale, portali e campaniletti compongono un insieme architettonico di rilevante interesse. Percorrendo in salita la via Pio IX (già via Guastaferri) si giunge, all’altezza del secondo tornante, in via Ladislao ove è la chiesa di S. Lucia, restaurata di recente; già dedicata a S. Maria in Pensulis, rappresenta l’ampliamento nei secoli XII e XIII di una costruzione dei secoli IX-X. Percorsi i tornanti di via Pio IX si raggiunge – quasi a metà del tratto rettilineo della stessa strada – la chiesa di S. Caterina, in origine del sec. XIV ma rifatta nel 1852 da Ferdinando II. Proseguendo ancora per via Pio IX si sbocca in via Aragonese, che ha sul lato sinistro la chiesa di S. Domenico (non visitabile). E’ una costruzione tardo gotica degli anni 1450/1470 a due navate: una grandissima a cinque campate (lunga m. 33, alta 17 e larga m. 11) e l’altra più piccola, divisa da slanciati pilastri in peperino grigio scuro con archi acuti.

Siamo così giunti al castello, che domina tutto il centro medievale mentre l’opposto versante roccioso scende a precipizio sul mare. Il grande complesso monumentale (mq. 14.100), sia pure non esattamente, può dividersi in una parte superiore (“castello aragonese”) ed una inferiore (“castello angioino”). L’edificio superiore, di forma rettangolare, ha torri cilindriche in tre dei suoi angoli: quella a nordovest è molto più alta delle altre; l’angolo opposto manca di torre. L’edificio inferiore, di forma irregolare, ha gli angoli dei due lati verso il quartiere medievale ed il monte Orlando rafforzato da torrioni a forma di cono tronco. Le origini del castello datano, forse, dal periodo ducale (sec. X), ma è certo che un consistente sviluppo si ebbe in età normanna ma ancor più in quella sveva; fu distrutto per ordine del pontefice Gregorio IX nel 1229. Ricostruito dagli Angioini (verso il 1279), non era ancora dimora regia considerando che non fu utilizzato da Ladislao di Durazzo durante la sua lunga permanenza in Gaeta (1387/99). Grandi trasformazioni avrà, invece, con Alfonso d’Aragona (dopo il 1436) ed assurse a regia e fastosa dimora: sala del trono, appartamenti, biblioteca, armeria, cappella e zecca, ecc. Nuove torri e bastioni si ebbero con Carlo V (1516/38).

Proseguendo per via Angioina si giunge alla neogotica chiesa di S. Francesco, che Ferdinando II volle far erigere per tramandare il ricordo di Pio IX esule a Gaeta (1848/49). Fu edificata poco dopo il 1850 su di un complesso conventuale della fine del sec. XIII (ma già dedicato a S. Francesco nel 1236 a ricordo della sua presenza in Gaeta nel 1222), stravolto in caserma ed ospedale militare durante la dominazione francese (1809/15). La chiesa dopo la ricostruzione rimase chiusa al culto per oltre mezzo secolo mentre i lavori del campanile non furono mai portati a termine; fu riaperta solo nel 1927. Si eleva su di una alta scalinata, divisa al centro in due rampe

, che hanno tra loro una grande statua di L. Persico (“La Religione”). La maestosa facciata del tempio è ricca di statue e rivestita sulla parte inferiore di lastre di pietra calcarea di monte Orlando. Il portale ha ai lati due statue di G. De Crescenzo (Carlo II d’Angiò e Ferdinando II: i costruttori dei due complessi religiosi). Il timpano è sormontato dalla statua di S. Francesco benedicente, opera di G. Calì. L’interno, lungo m. 72 e largo m. 22, è a croce latina con tre navate, suddivise da pilastri con deambulatorio. Agli altari sono le tele di G. Imparato (“L’Assunta” della fine del XVI secolo) e di F. Solimena (“Riposo nella fuga in Egitto” della fine del sec. XVII), portate nella chiesa dopo la sua ricostruzione.

Da via Angioina si prosegue per via della Breccia incontrando, subito sulla sinistra, la chiesa di S. Michele Arcangelo dell’omonimo monastero benedettino, soppresso da Ferdinando IV nel 1788 e poi trasformato in caserma e reclusorio militare. Continuando a percorrere via della Breccia si può, per i tornanti del versante settentrionale di Monte Orlando (parco urbano dal 1986), andare a visitare – sulla sommità – il mausoleo di Lucio Munazio Planco, volgarmente detto “Torre d’Orlando”. L. M. Planco, nato a Tivoli (90 a. C.), fu generale di Cesare, fondò le colonie di Lugudunum (Lione, 43 a. C.) e di Augusta Raurica (August presso Basilea, 44 a.C.); fu console, proconsole e censore. La sua tomba ha pianta circolare (diametro di circa m. 30) e l’interno è composto da un ambulacro anulare voltato, che collega le quattro celle funerarie disposte a croce. Il mausoleo, costruito verso il 20 a.C., in origine era coperto da un tumulo di terra a profilo conico, sormontato al centro, forse, da una statua. I restauri del 1956/57 hanno restituito, quasi nella sua integrità, un monumento che è tra gli esempi migliori dell’architettura sepolcrale romana: era stato danneggiato per le sopraelevazioni militari del 1885, per le bombe durante l’ultima guerra ma, ancor più, per due millenni di abbandono.

Prima di salire il Monte Orlando si può visitare, procedendo verso l’estremità sud-occidentale del promontorio, ove la roccia sul mare aperto è segnata da tre grandi fratture verticali, il Santuario della Montagna Spaccata. La chiesa della SS. Trinità è ricordata con un annesso monastero benedettino del 1071. A sinistra della chiesa è l’ingresso per scendere a vedere la fenditura detta “Grotta del Turco” (indicazione popolare priva di validi documenti storici): nei pressi dell’ingresso per questa grotta, ma in posizione più elevata, sono ancora efficienti cinque cisterne romane della villa di L. M. Planco. Sulla destra della chiesa, invece, si percorre un corridoio scoperto con alle pareti le stazioni della via Crucis (riquadri in maiolica, opera di R. Bruno del 1849). Segue una scalinata di 35 gradini, che conduce alla profonda, suggestiva fenditura centrale: secondo una costante tradizione si sarebbe formata alla morte di Cristo. Sulla parete di destra si p

uò osservare la mano del Turco: un distico latino (inciso su una sottostante lastra di marmo) indica in quel segno impresso sulla roccia l’impronta di un miscredente (marinaio turco è ripetuto nella leggenda popolare), che aveva voluto saggiare la consistenza della roccia con la mano, di fronte alla pia tradizione dell’evento miracoloso. Segue il giaciglio di S. Filippo Neri e la cappella del Crocifisso, eretta (forse alla fine del sec. XIV) su di un masso incastrato nella fenditura.
Lo straordinario fenomeno geologico e la costante tradizione religiosa hanno reso internazionale la fama della “Montagna Spaccata“: fu visitata nei secoli da santi, pontefici, regnanti, ecc, è sempre meta di continui pellegrinaggi, luogo di raccoglimento per i fedeli. Dalla “Montagna Spaccata” si può raggiungere Serapo ed il quartiere Porto Salvo scendendo per via Planco: bel panorama ad ogni volger di sguardo.